Il sottotitolo di Antifragili (Feltrinelli) recita così: fai della fragilità il tuo punto di forza e dell'incertezza un cavallo di battaglia. E' un po' fuorviante perché, a differenza di altri libri di autoaiuto in cui lo scopo è di prendere una caratteristica personale e/o umana che sia considerata poco accettabile (l'introversione, la timidezza, l'ipersensibilità...) e rovesciare la prospettiva da cui guardarla, qui non si fa la stessa cosa con la fragilità. Antifragilità è la capacità di crescere nonostante le difficoltà e le incertezze: che non è la resilienza, ultimamente nominata abbastanza spesso. La resilienza è la capacità di mantenere la propria essenza nel cambiamento, l'antifragilità invece ha più a che vedere con la capacità di rialzarsi dopo la caduta e imparare a stare nell'incertezza. Accettando il fatto di non avere il controllo, il rischio di perdere la faccia, la necessità di mettersi in gioco per vivere la vita che si desidera e di essere responsabili di noi stessi come veri adulti, allora tutto quello che accade fa parte della vita e non mina le fondamenta del nostro valore ma semmai ci spinge ad agire per i nostri sogni e obiettivi. Nessuno, nemmeno gli autori Giuseppe Vercelli e Gabriella d'Albertas dicono che sia facile.
Leggendo Antifragili il mio cervello si divide proprio in due. Una parte infatti comprende il discorso razionale che viene fatto: che se si fallisce, il proprio valore non è in discussione e fallire una prova non significa essere dei falliti; che se non si prova mai, si vive nel rimpianto o nell'aspettativa, ma ci si dimentica di godersi il presente; che non si tratta di prendersi la colpa, ma la responsabilità. L'altra parte ovviamente ricade nei vecchi schemi: soprattutto tutto il discorso sulla responsabilità riguarda molte cose per cui ci hanno dato o ci siamo dati la colpa e come colpa la trattiamo. A volte, poi, non importa quello che succede, si ritiene che il proprio valore sia ai minimi storici e "provarci" significa scendere dal letto e fare la doccia e altre volte non si riesce nemmeno a fare quello e ci si ferma sul pensiero "perché non posso essere normale?". E non è sempre facile distinguere il proprio desiderio, la realizzazione del proprio vero sé, dalle pressioni che riceviamo (e che, sempre stando al libro, accettiamo come nostre).
Non lo definirei un libro di autoaiuto perché senz'altro fa delle osservazioni acute sul problema e, se siamo capaci di leggerlo senza coda di paglia, forse ne traiamo anche degli insegnamenti utili. Ad un certo punto però si fa un po' ripetitivo e in definitiva non offre alcun appoggio per chi desidera cominciare a cambiare: vi fa individuare magari il problema, ma se non siete sicuri di distinguere quello che realmente volete da quello che per voi hanno deciso gli altri, la conoscenza resterà a livello razionale (c'è questa possibilità) ma non emotivo e quindi è difficile applicare quanto imparato. Ma in effetti, non avrebbe avuto senso e non sarebbe stato né realista, né coerente, che venissero date direttive dall'alto (non dico formule magiche, ma qualche spunto pratico in più): se la responsabilità è del singolo, questi sono gli strumenti, il percorso poi è suo.
Il consiglio bipolare: per chi soffre di alti e bassi, scarsa autostima, ansia, non è un libro facile da leggere. Bisogna essere stabili, tranquilli, in grado di accettare il punto di vista e le osservazioni degli autori senza recepirle come un atto di accusa (è l'abitudine: avete presente quando vi dicono "non hai nessun motivo per essere depresso" e quindi è sottinteso che è colpa tua, oppure "fatti forza e vieni fuori da solo"?). Per qualcuno potrebbe essere una lettura consolante, per altri deprimente, scegliete voi che vi conoscete meglio di quanto possa dire io: mi tocca qui schierarmi con gli autori quando scrivono che seguire le proprie inclinazioni è la strada corretta...

Commenti
Posta un commento